Iliade

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    L'Iliade è - insieme all'Odissea - un poema epico attribuito ad Omero. Si compone di ventiquattro libri o canti, ognuno dei quali è indicato con una lettera dell'alfabeto greco maiuscolo. Opera ciclopica e complessa, è un caposaldo della letteratura greca. Narra le vicende di un breve episodio della storia della guerra di Troia, quello dell'ira dell'eroe Achille, accaduto nell'ultimo dei dieci anni di guerra. L'ira di Achille è l'argomento portante del poema.
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    L'opera venne composta nella regione della Ionia Asiatica intorno al IX secolo a.C., anche se alcuni autori ne postpongono la data della composizione a circa il 720 a.C. Il tiranno ateniese Pisistrato, nel VI secolo a.C., decise di uniformare e dare forma scritta al poema che fino ad allora si era tramandato quasi esclusivamente in forma orale. Quest'ultima forma, però, continuerà a restare viva fino al III secolo d.C. in Egitto, con tutti i cambiamenti e le mutazioni inevitabili nella forma orale. La guerra di Troia aveva avuto secondo Omero una durata effettiva di 10 anni, ma nell'Iliade ne vengono narrati soltanto 50 giorni.

    Si sa che il poema era già noto nel VI secolo a.C.; la prima testimonianza sicura è di Pisistrato di Atene (561 a.C.-527 a.C.). Dice infatti Cicerone nel suo De Oratore: “primus Homeri libros confusos antea sic disposuisse dicitur, ut nunc habemus” ("Si dice che Pisistrato per primo avesse ordinato i libri di Omero, prima confusi, così come ora li abbiamo"). Il primo punto fermo è quindi che nella Grande Biblioteca di Atene di Pisistrato erano contenuti i libri di Omero, ordinati.
    L'oralità non consentì di stabilire delle edizioni canoniche. L'Iliade pisistratea non fu un caso unico: sul modello di Atene ogni città (di sicuro Creta, Cipro, Argo e Massalia, oggi Marsiglia) probabilmente aveva un'edizione “locale”, detta kata poleis. Le varie edizioni kata poleis non erano probabilmente molto discordanti tra di loro.
    Si hanno notizie riguardo edizioni precedenti all'ellenismo, dette polustikos, “con molti versi”; avevano sezioni rapsodiche in più rispetto alla versione pisistratea; varie fonti ce ne parlano ma non ne sa l'origine.
    L'Iliade e l'Odissea erano la base dell'insegnamento elementare: i piccoli greci si avvicinavano alla lettura attraverso i poemi di Omero; molto probabilmente i maestri semplificarono i poemi affinché fossero di più facile comprensione per i bambini.
    Si conosce anche l'esistenza di edizioni kata andra: personaggi illustri si facevano fare edizioni proprie. Un esempio molto famoso è quello di Aristotele, che si fece creare un'edizione dell'Iliade e dell'Odissea per farla leggere ad Alessandro Magno, tra la fine del V e l'inizio del VI secolo.
    Con tutte queste versioni prealessandrine, si è arrivati a una sorta di testo base attico, una vulgata attica (quando si affermò il cristianesimo, c'erano in giro un gran numero di versioni della Bibbia; San Girolamo le analizzò tutte e scrisse un testo latino definitivo, che chiamò Vulgata – per il volgo, da divulgare).
    Teagene di Reggio, VI secolo a.C., fu il primo critico e divulgatore dell'Iliade, che fra l'altro pubblicò.
    Gli antichi grammatici alessandrini tra il III e il II secolo a.C. concentrarono il loro lavoro di filologia del testo su Omero, sia perché il materiale era ancora molto confuso, sia perché era universalmente riconosciuto come il padre della letteratura greca. Molto importante fu un'emendatio (diorthwsis) volta ad eliminare le varie interpolazioni e a ripulire il poema dai vari versi formulari suppletivi, formule varianti che entravano anche tutte insieme.
    Si arrivò dunque ad un testo definitivo. Un contributo fondamentale fu quello di tre grandi filologi, vissuti tra la metà del terzo secolo e la metà del secondo: Zenodoto di Efeso, che elaborò la numerazione alfabetica dei libri ed operò una ionizzazione (sostituì gli eolismi con termici ionici), Aristofane di Bisanzio, di cui non ci resta nulla, ma che sappiamo che fu un gran commentatore, inserì il prosodio (l'alternarsi di lunghe e brevi), i segni critici (come la crux, l'obelos) e gli spiriti, Aristarco di Samotracia, che operò una forte ed oggi considerata sconveniente atticizzazione, convinto che Omero fosse di Atene, e si occupò di scegliere una lezione per ogni vocabolo “dubbio”, curandosi però di mettere un obelos con le altre lezioni scartate; non è ancora chiaro se si basò sull'istinto o comparò vari testi.
    Il testo giunto all'età contemporanea dell'Iliade è piuttosto diverso da quello con le lezioni di Aristarco. Su 874 punti in cui egli scelse una particolare lezione, solo 84 tornano nei nostri testi; la vulgata alexandrina è quindi uguale alla nostra solo per il 10%. Questo dimostra che il testo della vulgata alessandrina non era definitivo; è possibile che nella stessa biblioteca di Alessandria d'Egitto, dove gli studiosi erano famosi per i loro litigi, ci fossero più versioni dell'Iliade.
    Un'invenzione molto importata della biblioteca di Alessandria furono le scolia, ricchi repertori di osservazioni al testo, note, lezioni, commenti. Dunque i primi studi sul testo furono effettuati tra il III e il II secolo a.C dagli studiosi alessandrini; poi tra il I secolo e il II secolo d.C. quattro scoliasti redassero gli scolia dell'Iliade, poi compedianti da uno scoliasta successivo nell'opera “Commento dei 4”. L'Iliade di Omero tuttavia non riuscì a influenzare tutte le zone dove era diffusa; anche in età ellenistica giravano più versioni, probabilmente derivanti dalla vulgata ateniese di Pisistrato del V secolo, che proveniva da varie tradizioni orali e rapsodiche.
    Intorno alla metà del II secolo, dopo il lavoro di Alessandria, giravano il testo alessandrino e residui di altre versioni. Di certo gli Ellenisti stabilirono il numero di versi e la suddivisione dei versi. Dal 150 a.C. sparirono le altre versioni testuali e si impose un unico testo dell'Iliade; tutti i papiri ritrovati da quella data in poi corrispondono ai nostri manoscritti medievali: la vulgata medievale è la sintesi di tutto.
    Nel medioevo occidentale non era diffusa la conoscenza del greco, nemmeno tra personaggi come Dante o Petrarca; uno dei pochi che lo conosceva era Boccaccio, che lo imparò a Napoli da Leonzio Pilato. L'Iliade era conosciuta in occidente grazie alla Ilias tradotta in latino di età neroniana.
    Prima dei lavoro dei grammatici Alessandrini, il materiale di Omero era molto fluido, ma anche dopo di esso altri fattori continuarono a modificare l'Iliade, e per arrivare alla koinh omerica bisogna aspettare il 150 a.C. L'iliade fu molto più copiata e studiata dell'Odissea.
    Nel 1170 Eustazio di Salonicco contribuì in modo significativo. Nel 1453 Costantinopoli fu presa dai turchi; un grandissimo numero di profughi dall'oriente emigrano verso l'occidente, portando con se una gran mole di manoscritti. Questo accade fortunatamente in concomitanza con lo sviluppo dell'Umanesimo, tra i punti principali del quale c'era lo studio dei testi antichi.
    Nel 1920 si realizzò che era impossibile fare uno stemma codicum per Omero perché, già nel '20, escludendo i frammenti papiracei, c'erano ben 188 manoscritti e perché non riusciamo a risalire ad un archetipo di Omero. Spesso i nostri archetipi risalgono al IX secolo, secolo in cui a Costantinopoli, il patriarca Fozio si preoccupò che tutti i testi scritti in alfabeto greco maiuscolo fossero traslitterati in minuscolo; quelli che non furono traslitterati, sono andati persi. Per Omero tuttavia non esiste un solo archetipo: le translitterazioni avvennero in più luoghi contemporaneamente.
    Il più antico manoscritto capostipite completo dell'Iliade è il Marcianus 454a, presente a Venezia; risale al X secolo, quando Bessanone, rettore della biblioteca, lo ricevette dall'oriente da Giovanni Aurisma. I primi manoscritti dell'Odissea sono invece dell'XI secolo.
    L'editio princeps dell'Iliade è stata stampata nel 1488 a Firenze da Demetrio Calcondila. Le prime edizioni veneziane, dette aldine dallo stampatore Aldo Manuzio, furono ristampate ben 3 volte, nel 1504, 1517, 1512, indice questo senza dubbio del gran successo sul pubblico dei poemi omerici.L'eroicità è riconosciuta come accento fondamentale del poema e per Omero eroico è tutto ciò che va oltre la norma, nel bene e nel male e per qualunque aspetto. Queste grandezze non sono guardate con occhio stupito perché il poeta è inserito nel mondo che descrive e l'eroico è sentito come normalità. L'intera guerra è descritta come un seguito di duelli individuali, raccontati spesso secondo fasi ricorrenti[1].
    L'opera non tratta, come indicato dal titolo, dell'intera guerra di Ilio (Troia), ma di un episodio di questa guerra, l'ira di Achille, che si svolge in un periodo di soli 51 giorni. Aristotele lodò Omero nella Poetica, per aver saputo scegliere, tra il numeroso materiale mitico-storico della guerra di Troia, un episodio particolare, rendendolo centro vitale del poema. Aristotele aggiunge inoltre che la poesia non è storia ma una fecondissima verità teoretica ed anche una verità di fatto.

    Personaggi principali

    Andromaca:moglie di Ettore e figlia del re di Cilici
    Achille: Figlio della Dea Teti e di Pelèo e valoroso guerriero acheo;
    Patroclo: Amico fraterno di Achille ed eroe greco;
    Mirmidoni: Popolo di guerrieri agli ordini di Achille;
    Agamennone: Re di Argo e di Micene, fratello di Menelao, figlio di Atreo e marito di Klitemnestra;
    Menelao: Re di Sparta e marito di Elena;
    Elena: Moglie di Menelao che, sedotta da Paride grazie a un incantesimo di Afrodite,abbandona il marito e parte per Troia;
    Ulisse: Re di Itaca che sarà l'autore dell'inganno col quale i Greci conquistarono Troia;
    Calcante: Indovino greco;
    Aiace Telamonio: Eroe greco, re di Salamina
    Nèstore: Eroe greco, re di Pilo
    Diomede: Eroe greco, principe degli ètoli
    Priamo: Re di Troia e padre di Ettore, Paride, Cassandra, Cebrione (non legittimo);
    Cassandra: Indovina;
    Paride: Principe Troiano figlio di Priamo e provocatore della guerra;
    Ettore: Eroe di Troia e fratello di Pàride;
    Ecuba: Moglie di Priamo
    Enea: Figlio di Anchise ed Afrodite, ha un ruolo secondario nell'Iliade;

    L'Iliade è articolata in 24 libri che raccontano la storia della guerra di Troia. Il nucleo conduttore della storia è l'ira d'Achille, valoroso guerriero acheo. Attorno alla sua ira si snodano le varie ariste, ovvero le narrazioni di gesta d'altri eroi. Parallelamente a queste si svolgono anche le teomachie (battaglie di dei).
    In questo caso l'autore è Omero - in greco Ὅμηρος, Hómēros - autore di due fondamenti della letteratura occidentale, l'Iliade e l'Odissea. Si ritiene sia vissuto nell'VIII secolo a.C. Sia l'Iliade che l'Odissea, viaggio di Ulisse fino a casa, erano parte di una raccolta chiamata Storie di Troia.
    I poemi del ciclo troiano erano otto ed oltre ad Odissea e Iliade comprendevano anche: Cypria , L'Etiopide, La Piccola Iliade, La caduta di Troia, I Ritorni, Telegonia, in gran parte andate perduti. Si conoscono i loro nomi e parte dei contenuti grazie a Proco, poeta greco vissuto nel V secolo, che li riassunse in un manoscritto.


    lL'Iliade è articolata in 24 libri che raccontano la storia della guerra di Troia. Il nucleo conduttore della storia è l'ira d'Achille, valoroso guerriero acheo. Attorno alla sua ira si snodano le varie ariste, ovvero le narrazioni di gesta d'altri eroi. Parallelamente a queste si svolgono anche le teomachie (battaglie di dei).
    In questo caso l'autore è Omero - in greco Ὅμηρος, Hómēros - autore di due fondamenti della letteratura occidentale, l'Iliade e l'Odissea. Si ritiene sia vissuto nell'VIII secolo a.C. Sia l'Iliade che l'Odissea, viaggio di Ulisse fino a casa, erano parte di una raccolta chiamata Storie di Troia.
    I poemi del ciclo troiano erano otto ed oltre ad Odissea e Iliade comprendevano anche: Cypria , L'Etiopide, La Piccola Iliade, La caduta di Troia, I Ritorni, Telegonia, in gran parte andate perduti. Si conoscono i loro nomi e parte dei contenuti grazie a Proco, poeta greco vissuto nel V secolo, che li riassunse in un manoscritto.



    Nell'Iliade, oltre agli dèi e agli uomini, si trova una sottocasta di semidei antropomorfi. Tra questi vi è anche Achille. Nei testi epici tali personaggi si possono riconoscere dato che hanno un genitore divino mentre l'altro è un umano. Le ambientazioni della storia non sono realistiche al confronto con l'Odissea in cui sono molto più realistiche.
    Le città sono descritte in maniera insufficiente; invece le navi achee sono descritte con molta più concentrazione ed impegno da parte dell'autore.
    Lo stile narrativo della storia è maestoso.

    Paride rapisce Elena, moglie del Re Menelao. Si mobilita così tutta la Grecia Achea per vendicare l'offesa compiuta da Paride. Dopo nove anni di assedio Agamennone, capo dell'armata achea e fratello di Menelao, si rifiuta di restituire a Crise, sacerdote di Apollo, la figlia Criseide, che egli ha ottenuto come preda di guerra. Il Dio colpisce con una pestilenza il campo dei Greci e Agamennone è costretto a restituire Criseide. Per compensarsi della perdita sottrae ad Achille la sua schiava Briseide.
    Achille sdegnato, ritenendo d'avere ricevuto un affronto, decide di non combattere più a fianco dei Greci; senza Achille i Troiani ottengono molte vittorie. Patroclo decide allora di scendere in campo con le armi di Achille, per far credere che lui fosse tornato al campo di battaglia, ma viene ucciso da Ettore, che lo spoglia delle armi sacre. Achille, riarmato da Efesto, torna a combattere per vendicare la morte dell'amico; trova lo scontro con Ettore che uccide in duello, infierendo sul suo corpo e confiscando il cadavere. Il re dei troiani Priamo giunge nel campo dei Greci a chiedere la restituzione del corpo di suo figlio Ettore; Achille fa dunque una pace personale con Priamo, permettendogli di riscattare la salma del figlio. Il destino della città di Troia privo del suo eroe più forte è ormai senza speranza




    Trama

    Crise, sacerdote d’Apollo, va da Agamennone con un ricco riscatto per farsi ridare indietro la figlia Criseide, che il potente re acheo teneva con sé come sua concubina; ma l'Atride, indignato dalla sfrontatezza di quel vecchio, lo tratta male e ingiuriandolo rifiuta la sua offerta, ordinandogli poi di allontanarsi e di non farsi vedere mai più presso il suo campo e le sue navi. Il sacerdote adirato, scongiura allora Apollo di dare una lezione a tutti gli Achei, per punirli del grave affronto che si è visto costretto a subire per l'arroganza di Agamennone. Il dio l'ode e, infuriatosi per il maltrattamento di un suo sacerdote, discende in fretta dall'Olimpo e comincia a colpire gli uomini presso le navi achee con l'infallibile mira del suo arco d'argento e dei suoi dardi avvelenati, gettando una nera pestilenza su tutto l'accampamento dei Danai. Al decimo giorno dell'ecatombe Achille indice un'assemblea di tutti gli Achei per discutere dell'emergenza, e interpella Calcante, un vate, di dirgli perché Apollo si è tanto adirato con gli Achei. L'indovino spiega allora che il motivo è stato il maltrattamento del sacerdote di Apollo Crise da parte di Agamennone: questi se la prende con Calcante, accusandolo di dargli sempre e solo vaticini funesti riguardo le sue imprese, ma Achille interviene e dopo un breve scambio di parole tra i due nasce subito un attrito e comincia un vero e proprio litigio. Alla fine, dopo molti insulti e ingiuriose parole, l'Atride acconsente per logica a lasciar andare Criseide, ma per non restare senza una donna come dono decide di prendere quella del Pelide, Briseide. Achille se ne duole e irato nell’animo sfodera la sua daga e fa per lanciarla contro Agamennone, ma Atena, inviata da Era, che ha a cuore tutti e due gli eroi, lo afferra per i capelli appena in tempo e lo fa ragionare, dicendogli che un giorno molto vicino per fare ammenda a quella grave offesa gli avrebbero offerto doni tre volte superiori al maltolto. Achille, seppur a malincuore, obbedisce e, rinfoderata la spada, offende pesantemente Agamennone, annunciando inoltre che finché non gli avesse riparato quel torto, lui non avrebbe combattuto più al suo fianco, e che allora si sarebbe presto pentito, quando Ettore avrebbe fatto strage di Achei e lui sarebbe stato costretto ad assistervi, debole e impotente, lacerato nel cuore dal dolore. Dopo di che la seduta è sciolta e Agamennone dà ordine che Odisseo riporti Criseide dal padre, mentre ordina a due dei suoi araldi di andare a prendere Briseide nella tenda del Pelide e di portarla nella sua. I due, seppur a malincuore, compiono l’operazione, e Achille, vedendo che la sua donna viene condotta via a forza, scoppia a piangere e invoca la madre Teti, che accorre dalle profondità degli abissi dove dimora per consolare il figlio, che le fa un breve sunto della vicenda e le chiede di andare da Zeus perché gli venga reso l’onore dovuto. La madre si duole delle pene del figlio e gli promette che quando gli dei torneranno all’Olimpo da presso gli Etiopi, verso l’Oceano, dove erano andati per pranzo, lei andrà direttamente da Zeus e lo pregherà di esaudire la sua preghiera. Intanto parte la spedizione di Odisseo presso Crise, per riportargli la figlia; dopo molti sacrifici per deliziare e placare il dio Apollo, banchetteranno fino a sera con le carni dei sacrifici, e Crise, rasserenato nell’animo dal ritorno della figlia, pregherà il dio di cessare la sua strage sui Danai. Nel frattempo, dopo dodici giorni, gli dei sono finalmente tornati all’Olimpo e Teti, memore della promessa fatta al figlio, sale su fino al signore dei numi e dei mortali e, cingendogli le ginocchia, lo prega di dare vittoria ai Troiani fino a quando gli Achei non avessero fatto ammenda al torto subito da suo figlio e non gli avessero reso il giusto onore. Il dio della folgore, seppur a malincuore, acconsente, ma sua moglie, Era, che ha cara la sorte degli Achei, ha visto tutto e chiede irata al marito quali piani abbia mai ordito con Teti alle sue spalle. Il dio tuttavia la mette a tacere con brusche parole e il banchetto pare prender e una piega infelice, ma interviene Efesto che con le sue parole rasserena gli animi inquieti di tutti, specie della madre Era, facendo così tornare il banchetto gioioso e i numi immortali festeggeranno fino a sera, per poi tornare ognuno alla sua casa.

    Per esaudire la preghiera di Teti,Zeus invia ad Agamennone un falso sogno che lo induca ad attaccare i Troiani,così,nel colmo della guerra,i Greci avvertiranno la mancanza di Achille e rimpiangeranno di averlo offeso. Convocata l’assemblea dei capi,l’Atride narra il sogno ed espone i suoi proposti,rivelando inoltre l’intenzione di annunciare all’esercito,prima del combattimento,di volersi ritirare,per saggiarne lo spirito. A questa notizia tutti i Greci esultano e sarebbero già pronti ad imbarcarsi,se non intervenisse Era che spinge Atena a trattenerli. La dea si rivolge a Ulisse,che,riluttante a rinunciare la guerra,accoglie il suo invito cercando di persuadere i Greci a non interrompere l’assedio. Viene dunque nuovamente convocata l’assemblea,nella quale solo Tersite,storpio e di animo spregevole,contesta la decisione di continuare la guerra;l’intervento deciso di Odisseo,che lo percuote con lo scettro,lo costringe a tacere e ad adeguarsi. In seguito Ulisse e Nestore esortano gli Achei a prepararsi alla battaglia,ricordando i felici presagi che avevano accompagnato l’inizio della spedizione. Nestore,dopo i sacrifici rituali,invita Agamennone a schierare l’esercito. Iride,messaggera divina,si reca,sotto le spoglie di Polite,all’assemblea dei Troiani per informare Ettore dei preparativi nemici ed esortarlo al contrattacco. Il libro si chiude con un sintetico elenco delle forze troiane e alleate.

    Durante uno scontro tra Troiani e Achei, Paride si fa avanti tra la folla per combattere Menelao, il principe di Troia indossa una pelle di pantera ed è armato di arco. Ma alla vista di Menelao, Paride fugge pauroso. Ettore lo vede e lo rimprovera con dure parole: Paride prendendo coscienza della sua viltà propone di porvi rimedio con un duello in cui lui e Menelao si sarebbero sfidati per il possesso di Elena e delle sue ricchezze, e da cui sarebbe dipeso l’esito della guerra. Ettore ne è entusiasta e, dopo aver preso accordi con gli Achei e dopo aver fatto molti sacrifici, i due contendenti si ritrovano a duellare: sembra quasi che sia Menelao ad avere la meglio, ma proprio quando stava per uccidere il suo avversario, dall’Olimpo discende Afrodite che salva Paride nascondendolo in un’improvvisa nebbia e portandolo in salvo a Troia, dove riceverà anche il biasimo di Elena. Nel frattempo Menelao è furente, ma si arrabbia invano: alla fin fine Agamennone lo proclama vincitore del duello e afferma gran voce che la guerra deve finire.

    Gli dei sono radunati attorno a Zeus che vorrebbe salvare Troia, ma Era si oppone e vuole che i Troiani rompano i patti: Era allora invia Atena tra i Teucri; ella invita Pandaro a scagliare una freccia contro Menelao. La freccia ferisce l'Atride e la battaglia per questo si rianima.

    Pandaro ferisce Diomede con una freccia, ma questi, aiutato da Atena, riesce a uccidere il troiano; sta per uccidere anche Enea quando interviene Afrodite che salva il figlio e viene a sua volta ferita da Diomede. Intanto i Troiani, guidati da Ares, stanno avendo la meglio. Diomede, si scontra con Ares e lo ferisce.

    Le sorti della battaglia volgono a favore dei Greci, pertanto l’indovino Eleno consiglia ad Ettore,suo fratello, di tornare in città per invitare la madre Ecuba e le matrone ad offrire i loro pepli ad Atena. Intanto si scontrano in battaglia Glauco e Diomede, ma venuti a conoscenza delle rispettive stirpi, si risparmiano a causa dell’amicizia tra i nonni. Ettore, dopo aver portato a termine la sua missione, va a trovare Paride, con la moglie Elena; poi si reca a salutare la moglie Andromaca che gli consiglia di lasciar perdere la battaglia e di non far diventare lei vedova e suo figlio un orfano.

    Per volere di Apollo e di Atena, Ettore sfida a duello uno degli Achei. Raccoglie la sfida Menelao, ma Agamennone lo trattiene perché soccomberebbe contro Ettore. Tra i nove volontari (i due Aiaci,Agamennone,Ulisse,Diomede,Idomeneo,Merione,Euripilo e Toante) viene estratto il nome di Aiace Telamonio: lo scontro si protrae senza vincitori fino al calare delle tenebre, quando viene sospeso. Paride offre di terminare la guerra cedendo tesori ai Greci, ma senza restituire Elena. Gli Achei rifiutano, ma acconsentono a una tregua per recuperare i cadaveri. Durante il giorno di tregua i Greci costruiscono un muro a difesa delle navi con tale abilità da far invidia agli dei.

    Zeus vieta agli altri dei di intervenire nella battaglia ed accorda il proprio favore ai Troiani,dopo averne soppesate le sorti. Ettore fa strage di Greci e sta per avventarsi su Nestore in difficoltà, ma in difesa di quest’ultimo interviene Diomede: egli vorrebbe sfidare Ettore, ma un fulmine scagliato da Zeus lo fa desistere. I Troiani costringono i Greci a ripararsi all’interno delle mura costruite a difesa delle navi. Era ed Atena intervengono ad aiutare gli Achei, ma Zeus, accortosene, invia Iride a fermarle. Cala la notte e i Teucri si accampano davanti alle mura greche.
    Nel campo acheo i duci si riuniscono e Agamennone propone il ritorno in patria, ma Diomede si oppone con fermezza. Quindi Agamennone compie un ultimo tentativo di convincere Achille a combattere ed invia un gruppo di delegati:Ulisse,Fenice, vecchio tutore di Achille e Diomede. L’ambasceria viene accolta dal Pelide nella sua tenda, ma l’offerta di Agamennone viene sdegnosamente rifiutata e, anzi, Achille aggiunge che il giorno seguente farà ritorno a Ftia.

    I Troiani sono speranzosi ed i Greci angosciati, dunque Agamennone dice di voler ritornare in patria, poiché secondo lui quest’assedio è un’impresa vana. Diomede si oppone mentre Nestore propone di richiamare Achille. Tutti sono d’accordo con la proposta di Nestore, compreso Agamennone che decide di restituire Briseide con altri doni in aggiunta. Vengono mandati Odisseo, Aiace e Fenice. Nessuno convince Achille, ma Diomede al campo dice che domani si combatterà anche senza Achille.
    Agamennone non riesce a prendere sonno pensando alla sorte del suo esercito: convoca dunque i capi greci e, su consiglio di Nestore, invia Diomede a spiare il campo nemico. Diomede sceglie Ulisse come compagno nell’impresa. Intanto nel campo troiano Dolone si offre di compiere la stessa sortita: avviatosi dunque verso le navi greche viene sopraffatto dai due nemici che lo interrogano sulla sua missione: egli, per aver salva la vita, tradisce i compagni, ma Diomede lo uccide per punirlo. I due greci, grazie alle informazioni ottenute, fanno strage tra i Traci e riescono a fuggire illesi.
    La battaglia è incerta; Agamennone si batte furioso, ma viene ferito da una freccia. Ettore allora incita i suoi a combattere, viene affrontato da Diomede che riesce solo a stordirlo e viene a sua volta ferito da Paride. Poco dopo la stessa sorte capita anche ad Ulisse e Zeus infonde il terrore di Ettore nell’animo di Aiace che indietreggia. Intanto Nestore conduce Macaone ferito alla sua tenda e Achille, desideroso di notizie, manda Patroclo alla tenda di Nestore. Quest’ultimo descrive il disastro dei Greci e invita Patroclo, se proprio Achille non vuol combattere, a scendere lui stesso in battaglia con le armi di Achille.

    La battaglia si è spinta sotto il muro acheo. I Greci, in particolare i due Aiaci, resistono come possono e respingono più volte gli attacchi di Sarpedonte. Intanto Zeus manda un segno di dubbia interpretazione: un'aquila vola con un serpente tra gli artigli, ma questo le si ritorce contro e la morde: Polidamante lo interpreta come presagio funesto, ma Ettore decide di continuare l’assedio e, preso un macigno, lo scaglia contro la porta del muro greco e la abbatte. I Troiani entrano nel campo avverso.

    Approfittando di un attimo di distrazione di Zeus, Poseidone scende ad aiutare i Greci: infonde nuova forza ad Aiace e incoraggia Idomeneo. Quest'ultimo, insieme a Merione, assale l’ala destra troiana e miete molte vittime. Ettore, avvisato di ciò da Polidamante, si distacca dal centro della schiera, dove stava fronteggiando gli Aiaci, e soccorre l’esercito in difficoltà. Quindi torna nuovamente al centro per un corpo a corpo con Aiace Telamonio.
    Nestore, vedendo l'esercito acheo in grave difficoltà, si reca da Agamennone e trova i maggiori tra i capi feriti e indecisi sul da farsi: Agamennone propone nuovamente la fuga, ma Ulisse si ribella. Decidono perciò, impossibilitati a scendere in battaglia, di incoraggiare i compagni con la voce. Intanto Era architetta un inganno contro Zeus: convince il Sonno a calare sul dio, in modo che Poseidone abbia campo libero nell’aiutare i Greci. Ciò avviene ed Aiace Telamonio riesce a colpire Ettore con un macigno, facendolo cadere a terra privo di sensi. I compagni lo traggono fuori dal combattimento, salvandolo dalla furia degli Achei.


    Al risveglio, Zeus si accorge dell’inganno in cui è caduto e minaccia una punizione terribile ad Era la quale, terrorizzata, risale all’Olimpo. Zeus intanto manda Iride ad intimare a Poseidone di abbandonare la battaglia se non vuole scontrarsi col più potente fratello: Poseidone a malincuore è costretto a ritirarsi. Apollo, incaricato da Zeus di rianimare i Troiani, dà nuovo vigore ad Ettore. Sotto la sua spinta i Teucri travolgono i Greci ed arrivano fino alla nave di Protesilao, decisi ad incendiarla: l'ultima difesa è fornita da Aiace Telamonio che, armato di una trave, tenta di respingere i nemici.

    Achille accoglie l’idea di Patroclo di fargli vestire le sue armi per guidare i Mirmidoni contro i Troiani, insieme a tutti gli altri Achei, ma gli dice di non sbilanciarsi troppo e di limitarsi a incutere timore nel nemico, facendo finta di essere Achille. Il piano funziona fino a che Patroclo non è slealmente colpito da Apollo che lo stordisce e lascia che siano prima Euforbo con un colpo non mortale, e poi Ettore col colpo di grazia, a finirlo. Prima di morire, Patroclo disse che anche Ettore, dopo poco, sarebbe morto per mano di Achille tornato a combattere.


    Si accende la contesa per impadronirsi del corpo di Patroclo: Menelao si pone subito a difesa delle spoglie del compagno e uccide Euforbo, ma è costretto ad invocare aiuto quando vede Ettore che gli si fa contro. Accorrono gli Aiaci, Merione e Idomeneo. Nel tumulto che segue, Ettore tenta anche, senza successo, di impossessarsi di Balio e Xanto, i divini cavalli di Achille. Menelao si reca da Antiloco, lo informa della morte di Patroclo e lo manda ad avvisare Achille; poi torna nel cuore del combattimento: insieme a Merione e difeso dagli Aiaci, che sostengono i continui assalti troiani, riesce a trasportare il corpo di Patroclo all’interno del campo acheo.

    Achille, ignorando la sorte di Patroclo, si aggira inquieto davanti alla tenda quando giunge Antiloco e lo informa sui fatti: Patroclo giace e si combatte per il suo cadavere. La disperazione di Achille giunge alle orecchie di Teti che corre a rincuorare il figlio: vedendo che egli è irremovibile nel suo intento di vendetta, a costo di pagarlo con la morte, annunciata dalla profezia, si reca da Efesto per farsi forgiare armi divine. Iride esorta Achille a farsi vedere sulle mura greche per spaventare i Troiani e agevolare il trasporto della salma di Patroclo da parte dei compagni. Teti è frattanto giunta alla dimora di Efesto: il dio si mette subito al lavoro e forgia armi bellissime, tra le quali uno scudo d’oro intarsiato con figure rappresentanti le varie attività umane.

    Il desiderio di vendetta di Achille è più forte della sua ira, per cui mette da parte il suo orgoglio e si riconcilia con Agamennone. I Greci si preparano alla battaglia e riacquistano le forze con un banchetto, ma Achille non riesce a mangiare e rimane a piangere sulla salma dell’amico. Atena, impietosita, stilla nel suo cuore nettare e ambrosia per dargli forza. Ormai la battaglia è prossima: Achille, terribile nelle sue nuove armi, sprona i cavalli Balio e Xanto: quest’ultimo, ispirato da Era, gli rammenta il fato che sta per compiersi. Achille sgrida il cavallo: egli è cosciente del suo destino, ma ciò non lo distoglierà da vendicarsi su Ettore.

    I troiani e gli achei si preparano alla battaglia decisiva, mentre Zeus acconsente che gli dei prendano parte alla guerra: così Apollo, Artemide, Xanto, Afrodite, Ares e Leto scendono dall’Olimpo per schierarsi al lato di Troia, mentre Hermes, Atena, Poseidone, Era ed Efesto si schierano al fianco dei Danai. Achille si batte con Enea, ma nessuno dei due morirà, perché da Enea è destinata a venire la stirpe di Dardano, che un giorno assumerà il controllo dei Troiani scampati al massacro di Troia. Nel momento in cui Enea sta per essere ucciso da Achille, interverrà Poseidone a salvarlo. Dopo di che Achille ucciderà Polidoro, fratello di Ettore, che accecato dall’ira scaglia la sua lancia contro il Pelide, che viene però deviata da Atena. Achille passa al contrattacco, ma Apollo avvolge Ettore in una fitta nebbia, sottraendolo alle ire del tremendo eroe acheo, che rabbiosamente comincia a far strage degli altri Troiani intorno a lui.

    Achille fa una grande strage di Troiani nel fiume Scamandro, che indignato per tanta impudenza lo prega di continuare la sua strage da un'altra parte, ma il Pelide non l'ascolta e continua il massacro. Allora il dio del fiume, adirato, gli scaglia contro la vorticosa potenza delle sue acque e Achille, atterrito, fugge via, temendo di morire di una morte vergognosa. Fortunatamente interviene Efesto che col fuoco placa l'impeto delle acque, salvando l'eroe acheo. Intanto sull'Olimpo, dopo una breve scaramuccia familiare alquanto poco eroica, gli dei smettono di lottare, dato che loro vivono in un'altra dimensione, immortale e giocosa. Intanto Achille, ingannato da Apollo che ha preso le sembianze di Agenore, un guerriero troiano che poco prima l'aveva affrontato, si fa inseguire lontano dalle porte Scee, mentre tutti i fuggitivi troiani riescono a rientrare dentro Troia.

    Si tengono i solenni funerali di Patroclo: il rogo arde per tutta la notte: al mattino Achille indice i giochi funebri. Si tiene per prima la gara dei carri: Eumelo è in testa, ma Atena fracassa il suo giogo. Vince così Diomede, secondo arriva Antiloco che precede Menelao grazie ad una manovra scorretta: al traguardo però i due si riappacificano. Nella gara di lotta si affrontano Ulisse, con la sua astuzia, e Aiace, con la sua forza, e si ha un pareggio. La corsa è vinta da Ulisse che precede Aiace d’Oileo. Achille invita due guerrieri a combattere per vincere l’armatura di Sarpedonte: ed è Diomede che se ne appropria, sconfiggendo Aiace Telamonio. Seguono la gara di tiro con l’arco, vinta da Merione su Teucro, e quella di tiro della lancia, assegnata ad Agamennone senza bisogno di disputare la prova.

    Gli dei, raccolti in un'assemblea, alla fine deliberano che Achille restituisca il corpo di Ettore ai familiari: Teti riferisce l'ordine al figlio, che non può rifiutarsi di compiere il volere degli dei. Iride intanto avverte Priamo di andare a riprendere il corpo del figlio, il quale si mette subito in viaggio verso la tenda del Pelide, guidato e protetto dal dio Hermes. Non appena il re incontra Achille, si inginocchia e lo prega di rendergli le spoglie del figlio: Achille impietosito acconsente e nottetempo Priamo tornerà a Troia, dove farà poi bruciare il corpo del figlio per rendergli le giuste onoranze funebri

    http://it.wikipedia.org/wiki/Iliade_(trama)
     
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