Salvare la Terra si può: il protocollo di Kyoto

Il protocollo di Kyoto

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    Salvare la Terra si può: il protocollo di Kyoto
    http://www.focus.it



    Facciamo il punto sulla situazione del clima terrestre e dei cambiamenti che si prospettano dopo che è entrato in viglore il protocollo di Kyoto. Cosa si può fare per guarire la Terra?

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    Nell'ultimo secolo l'impatto dell'industrializzazione ha creato numerosi squilibri sulla Terra: le emissioni di anidride carbonica e altri gas intrappolano troppo calore. E la temperatura sale...



    L'inquinamento dell'atmosfera impedisce al calore accumulato sulla Terra di disperdersi nello spazio: questi i risultati dello studio pubblicato sulla rivista Science, che confermano ancora una volta il riscaldamento del pianeta.
    Scienziati della NASA, della Columbia University e del Lawrence Berkeley National Laboratory, tramite studi sugli oceani, sono giunti alla conclusione che la Terra assorbe dal Sole molta più energia di quella che rilascia. Uno sbilancio energetico misurato in 0,85 watt per metro quadrato, che porterà entro la fine del secolo a un ulteriore aumento della temperatura.

    Un fenomeno naturale
    Il cosiddetto effetto serra è un fenomeno naturale, sempre esistito: senza i gas presenti in atmosfera, che trattengono calore, la temperatura media sulla Terra scenderebbe a -18 °C. Con la rivoluzione industriale però, più di cento anni fa, delicati equilibri sono stati alterati: i consumi di idrocarburi sono aumentati enormemente e, con essi, le quantità di gas serra immessi in atmosfera che hanno iniziato a intrappolare eccessive quantità di calore. Il conseguente surriscaldamento ha determinato effetti negativi a catena sull'ambiente.
    Nell'ultimo secolo la temperatura è aumentata tra 0,6 e 1 °C (valore variabile a seconda della ricerca considerata). Il livello medio dei mari è cresciuto tra i 10 e i 25 centimetri, i ghiacciai si stanno sciogliendo, i deserti avanzano e si verificano più spesso fenomeni atmosferici estremi.

    Scienziati riuniti
    Le evidenze scientifiche dell'innalzamento della temperatura hanno portato nel 1988 a fondare l'IPCC (Intergovernmental Panel of Climate Change), ente scientifico delle Nazioni Unite: 2 mila scienziati provenienti da oltre 160 Stati, hanno avuto l'incarico di studiare il cambiamento climatico, le cause, i contributi delle attività umane e di trovare soluzioni per arrestare il fenomeno.
    Sulle direttive di questi studi fu redatto nel 1997, nella città giapponese di Kyoto, un accordo internazionale per regolare le emissioni in atmosfera dei principali gas responsabili dell'effetto serra.
    Per diventare vincolante, il protocollo di Kyoto doveva essere sottoscritto da Paesi industrializzati e la somma delle loro quote di emissione di gas climalteranti doveva superare il 55% delle emissioni totali del pianeta. Si è dovuto attendere fino a quest'anno: grazie alla sottoscrizione della Russia e alla somma della sua quota, pari al 17,4% si è superato il tetto prestabilito, raggiungendo in totale il 61,6%.

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    L'aumento di temperatura della Terra ha causato l'avanzata dei deserti. Il verificarsi di eventi atmosferici eccezionali, poi, aumenta la frequenza di inondazioni improvvise e devastanti.



    Per salvare il clima

    Il protocollo di Kyoto è entrato in vigore il 16 febbraio scorso: 141 i Paesi firmatari, di cui 39 industrializzati.
    Ogni Stato aderente, nel periodo 2008-2012, dovrà diminuire di quote percentuali variabili, rispetto ai livelli del 1990, le emissioni in atmosfera di 6 gas responsabili dell'effetto serra. La riduzione media prevista per i paesi industrializzati è del 5,2%, passando dall'8% dell'Unione Europea, al 6% del Giappone.
    Gli Stati Uniti, che da soli producono il 23,5% dei gas serra mondiali, non hanno aderito: le restrizioni imposte, una riduzione delle emissioni del 7%, avrebbero danneggiato eccessivamente la loro economia. Un cittadino americano immette ogni anno più di 20 tonnellate di anidride carbonica, contro le 7,18 tonnellate di un italiano e l'1,68 tonnellate di un nigeriano.

    Prendersi cura della Terra

    Poiché molti dei danni in termini di emissioni sono causati dalla moderna catena di produzione industriale, cambiamenti sostanziali in questo ambito, porteranno anche a un cambio di mentalità. Può esistere uno sviluppo economico che non sfigura il Pianeta, compatibile con le esigenze dell'ambiente.
    Gli Stati aderenti si sono impegnati ad attuare politiche industriali e ambientali che, tramite il controllo e la diminuzione delle emissioni di gas inquinanti nell'atmosfera, porteranno a ridurre il riscaldamento del pianeta.
    Per ridurre le emissioni sarà necessaria una costosa riconversione e un ammodernamento delle tecnologie industriali che punterà soprattutto sul miglioramento dell'efficienza delle centrali elettriche, sullo sviluppo delle energie rinnovabili al posto degli idrocarburi che bruciando emettono anidride carbonica, sul risparmio energetico e sull'aumento delle superfici boschive, che assorbono anidride carbonica.

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    Questo modello della Nasa mostra l'aumento di temperatura della Terra previsto entro il 2040. Le zone più scure in rosso, in prossimità del Polo Nord, potrebbero registrare un aumento fino a 3 °C.
    Foto: © Nasa



    La borsa dei fumi
    Chi, entro il 2012, non avrà rispettato gli obiettivi di riduzione concordati, dovrà pagare multe salate, di 40 € per tonnellata di anidride carbonica.
    Per ovviare a questo inconveniente, sono state pensate anche vie di uscita, i cosiddetti “meccanismi flessibili”: tramite la borsa delle emissioni (Emissions trading), sarà possibile comperare quote dai Paesi aventi crediti di anidride carbonica, che cioè ne hanno prodotta meno di quella consentita. Una tonnellata di anidride carbonica costa 10-12 euro, ma si prevede che in futuro i prezzi saliranno.
    In alternativa, per ottenere “sconti” e rimanere così nei parametri stabiliti dal trattato, sarà possibile realizzare in altre nazioni opere migliorative in campo energetico e ambientale, per esempio tramite interventi di forestazione.

    Il ritardo dell'Italia
    Dovrà probabilmente fare ampio ricorso ai meccanismi flessibili l'Italia, che dovrebbe diminuire la sua quota del 6,5%, ma che è in netto ritardo e che registra addirittura un aumento delle emissioni.
    Inoltre, è obbligo di ogni Stato predisporre, in base al censimento, un piano di emissioni, in cui indicare le strategie che si intendono seguire per tagliare i gas serra, suddivise nei differenti settori responsabili della loro produzione (centrali elettriche, industria, agricoltura, trasporti, abitazioni…). Le associazioni ambientaliste denunciano il ritardo dell'Italia anche in questa fase.

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    Questi ignari trichechi riposano e prendono il sole su un banco di ghiaccio galleggiante nel Golfo di Bering. La progressiva riduzione dei ghiacci artici mette in pericolo intere colonie di animali polari, come orsi e foche.

    Foto: © NOAA



    Sole, vento, acqua e Terra
    Si è detto che per ridurre le emissioni si dovrà puntare anche sulle cosiddette energie rinnovabili, ovvero generate senza rilascio di anidride carbonica, illimitate e reperibili su tutta la superficie terrestre.
    Queste energie sono prodotte grazie al sole (solare termico per il riscaldamento dell'acqua e fotovoltaico per convertire in energia elettrica), al vento, all'acqua e alla Terra (biomasse, cioè residui agricoli, forestali e zootecnici, che possono essere utilizzati direttamente come combustibile o trasformati da impianti di conversione; geotermico, il calore estratto dal sottosuolo).
    La Germania, con il 40% degli impianti eolici al mondo, è la maggior produttrice di energia dal vento; nel fotovoltaico è seconda solo al Giappone. Già 250 mila nuovi posti di lavoro sono stati creati in Spagna, Danimarca e Germania grazie allo sviluppo del mercato delle fonti rinnovabili.
    Secondo Greenpeace, oggi in Italia le energie rinnovabili coprono il 2,5% della produzione energetica totale. Una direttiva europea dell'ottobre 2001 (2001/77/CE) fissa per ogni Stato la quota di consumi energetici che nel 2010 dovrà essere soddisfatta tramite le energie rinnovabili: il 25% per l'Italia.

    Solo il primo passo
    Secondo molti ricercatori, i traguardi prefissati dal protocollo di Kyoto, anche se saranno rispettati, non sono sufficienti per risolvere i problemi climatici derivanti dal riscaldamento della Terra.
    Gli stessi scienziati dell'IPCC ritengono che, per stabilizzare le concentrazioni dei gas serra ai livelli attuali, occorrerebbe ridurre le emissioni addirittura del 60-80%. I ricercatori avvisano inoltre che non possiamo attenderci “miracoli”: l'effetto serra continuerà a farsi sentire anche una volta diminuite le emissioni, poiché la permanenza dell'anidride carbonica in atmosfera varia tra 120-200 anni. Ci vorrà perciò tempo prima che le condizioni climatiche tornino alla normalità.
    Le critiche al protocollo riguardano anche l'esenzione da obblighi di riduzione di Paesi non industrializzati: alcuni, come Cina, India e Brasile, hanno una crescita talmente veloce, che nel giro di qualche decennio potranno diventare i principali inquinatori. L'entrata in vigore del protocollo di Kyoto è comunque una tappa importante, perché segna una presa di coscienza della situazione e un primo movimento nella giusta direzione.
    La prima fase del protocollo, che terminerà nel 2012, sarà seguita da una seconda, i cui dettagli sono ancora in fase di discussione. Dovrebbe coinvolgere tutti i Paesi del mondo, e prevedere una riduzione delle emissioni rispetto ai livelli attuali di circa il 60%.

    Chiara Borelli

    Fonte : http://www.focus.it
     
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